venerdì 6 giugno 2008

Diritto all'invettiva

Il politically correct del nostro tempo non concepisce l'invettiva, eppure, non per questo, i colpi bassi non sono diminuiti. Se prendiamo le origini catartiche della cultura occidentale, dando ragione agli storici ed agli archeologi, ed individuiamo nel V sec a C. un nuce importante delle matrici europeee e della cultura "bianca" e cioè il teatro tragico greco, possiamo già pregustare gli sviluppi del nostro intervento.
Infatti, l'interiorizzazione della pena non era affatto contenuta negli scritti che ci sono stati tramandati. All'infausta sorte, al delitto, all'ignominia l'eroe/ina non si rifugiava in un anglosassone atarassia, o in una colta indifferenza, ma sfogava nell'invettiva e nel proposito di vendetta la gloria dell'affronto che aveva subito. E più era serio il motivo del torto, più complessa ed argomentata era la verbosa reazione - carartica - del soggetto agente.
Agente abbiamo espresso, perchè nel momento stesso della reazione, pur verbale, in nuce individuiamo già un processo che tende a ribaltare il rapporto di potere che un torto impone e cioè la sottomissione, il ricevere, il subire un azione che si ritiene lesiva.
Non parliamo della sterile escandescenza volgare di una , seppur colorita ed interessante dialetticamente, verbalità fine a sè stessa, ma del concetto simbolico della maledizione, della descrizione dell'offesa subita e del suo contrappasso, del desiderio o situazione offeso e del contrasto che il presente subìto porta all'esplosione ed all'azione.
Nella letteratura contemporanea possiamo portare due esempi: uno in Kafka, nella "Lettera al Padre" dove la rivalsa della sensibilità offesa assume un evento simbolico ed attinge ad un vissuto personale dell'autore, l'altro, più letterario, nell'essenza stessa del libro "Opinione di un Clown" di Heinrich Böll che rivolge contro il personaggio narrante del romanzo - o monologo? - la maledizione espressa dalla travolgente situazione descritta.
Sono due rapidi accenni, manchevoli e poco strutturati ce ne rendiamo pienamente conto, ma che possono gettare oltre (diabolicamente, filologicamente inteso) una luce sul ruolo di reazione - rivoluzione - che il processo dell'invettiva propone anche nel nostro contemporaneo.
Ci stupiamo che in un mondo dove il consumo, il prezzo, il mercato è di massa, questo "diritto all'invettiva" non sia a nostra conoscenza ancora tramutato in prodotto scambievole a livello pecuniario.
La Medea della follia arrabbiata, bellissima e "barbara", straniera, nella sua femminile ira, rimane tuttora ineguagliata.
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