domenica 16 ottobre 2011

Anonimato

Con lentezza consumata, un vecchio mischia in un cucchiao della polvere bianca, una presa di bicarbonato di soda e qualche goccia d'acqua. Il composto reagisce al calore di un fornelletto elettrico e dopo qualche instante compaiono dei cristalli che vengono fatti cadere con delicatezza in un piattino di ceramica scuro. Odore dolciastro e persistente di sangue umano bruciato, che affiora copiosamente sotto l'ago del tatuatore. La ragazza distesa sul lettino vede formarsi sotto la paziente luce dell'uomo chino sulle sue cosce, un simbolo tribale impresso nella sua carne. Un vecchio in sedia a rotelle consuma il suo pasto di verdure bollite insipide prima di coricarsi ed indossare il respiratore, avviticchiato in una miriade di cavi connessi a compressori e macchine che paiono vive. Con gesti precisi ed incisioni di bisturi il cranio di un germano reale è aperto e disossato e le ossa prelevate sono poste ordinatamente in confronto con il simulacro in resina sintetica che prenderà il posto, dopo opportuna colorazione, della carne un tempo viva e pulsante. Un essere androgino e mostruoso gonfia i muscoli possenti con lentezza e metodicità di fronte ad uno specchio: le vene affiorano istantaneamente striando un corpo che diviene inumano nella sua ipertrofia...
Non è un delirio psichedelico di uno scrittore povero d'inspirazione, ma un frammento di un affresco vivente proposto come viaggio anonimo e crudele nello "zoo" dell'umanità nascosta e quotidiana da un teatro sperimentale ai bordi della metropoli: essere spettatori e spettacolo, in una fruizione voyeuristica costante, un frugare silenzioso nello specchio caleidoscopico dell'Altro senza speranza di trovare il riflesso di ciò che si è, di ciò che si può sentire vicino, prossimo. E la condivisione diviene esclusivamente vicinanza e la vicinanza - in un percorso doloroso, agonico e irreversibile - contaminazione.
Il teatro ha questa forza unica di proiettare la totalità dello spettatore all'interno di labirinti di codici, di sensazioni, di realtà mimata - in questo caso frammentata - e la sola resistenza che viene preservata è la possibilità dell'interruzione. Interruzione che diviene necessaria quando la tensione emotiva diviene insopportabile, abituati al bacello, alla protezione sociale e marginale che la società - e la società cosmopolita di essere estraneo in terra straniera - impone e pretende.
Solo, sulla banchina della metropolitana, nel mio impermeabile, dirigendomi verso un evento notturno, assisto allo spettacolo perverso di un vecchio che si denuda ed orina sulle scale dall'altra parte dei binari, massaggiandosi i magri glutei. Non più teatro, anche se d'avanguardia, ma realtà e la realtà evade ogni tentativo di ermeneutica. Fuori, piove, vento freddo.
Montreal, Zoo 2011.
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