venerdì 25 marzo 2011

Biblioteche

Qualche giorno fa, un amico mi ha proposto due pannelli di scaffali della sua biblioteca. Lui doveva disfarsene, dato che ritorna nel vecchio continente per suggellare l'unione con la sua fidanzata con un rito, civile o religioso poco importa. Colta l'occasione al volo, mi faccio prestare un furgoncino e nel primo tepore della primavera porto a casa - tutto contento - i nuovi mobili. Il fatto poi che siano stati usati da una persona che conosco, li rende ancora più preziosi. Qualche cosa di già familiare.
Ricordo che quando partii per il nuovo continente,  avevo circa quaranta chili di cargo inviati per mare e una trentina nei miei bagagli. Salami e prosciutti furono sequestrati alla dogana, la grappa e il limoncello furono distribuiti e bevuti nel giro di poco, i vestiti si cambiano abbastanza rapidamente. Negli scatoloni spediti tramite la Posta Italiana via mare, c'erano quasi esclusivamente libri. Non ce l'avevo fatta a staccarmi, già alcuni pacchi erano riposti a malincuore nella cantina dei miei genitori e la separazione si fa ancora sentire ogni volta che passo a trovarli. Ricordo che passai un tempo esagerato a sceglierli uno per uno ed alcuni li cerco ancora, sapendo perfettamente che sono dall'altra parte dell'Atlantico.
Prima dell'arrivo dei nuovi scaffali, i libri erano ammassati nella mia stanza abbastanza ordinatamente in uno scaffale di vimini intrecciato, riposti su più file, e per terra, con il dorso in vista e alla prima occhiata facevano l'effetto di un bordo multicolore al muro. Con i nuovi scaffali, ora hanno tutto lo spazio che desiderano: i saggi, ordinati per soggetto, i libri in lingua, per autore, romanzi, racconti e poesie per ordine logico. Considerato che ho la credenza che quando non sono presente le cose si animano, ho elaborato uno speciale criterio totalmente soggettivo per classificare le opere: gli autori devono sapersi parlare fra loro, in qualche modo, o per età o per soggetto o per affinità di stile: Mishima non potrebbe mai stare vicino a Cèline, ma bensì si avvicina più a Busi, il carteggio di Henry Miller e Anais Nin può ben essere avvicinato a Orwell e non lontano da Bowles e Musil. Ho poi trovato alcuni doppioni: ho scoperto infatti di possedere due copie di "La chute" di Camus, di "Lezioni spirituali per giovani samurai" di Mishima, di "Dans la dèche à Paris et à Londres" di Orwell. Ho scoperto anche di possedere un romanzo della collana Harmony, un libro rilegato scritto in ebraico del 1901 ed un paio che non ricordo di aver mai comprato e provengono sicuramente da qualche biblioteca altrui.
Sono molto soddisfatto ora di poter avere la mia biblioteca per intero, in un sol colpo d'occhio. Mi fa sentire più tranquillo e, come ha osservato una cara persona, visto che una biblioteca è qualche cosa che si sposta difficilmente, potrei interpretare questa sensazione come un simbolo di radicamento. È una bella immagine quella della biblioteca come segno di radicamento: "io sono dov'è la mia biblioteca!".
Peccato che mi tocca traslocare tra pochi mesi!

mercoledì 23 marzo 2011

Tempo che fugge

Sono passati ormai più di quattro anni dal giorno che all'aeroporto di Heathrow, durante lo scalo da Malpensa in direzione Montreal, mi resi conto, quasi d'improvviso, che la mia Vita prendeva una direzione ben precisa. O almeno così mi pareva in quel momento. Poi, da quel giorno ad oggi, sono successe tante cose, alcune abbastanza ordinarie, altre un po' meno. Visi che sono spariti dalla mia vita - e non solo per la lontananza - altri che sono apparsi, altri ancora che sono passati nel mio presente e subito erano già altrove. 
Ho una memoria discreta: ricordo molto, non tutto, ma molte cose sia prima di quella data all'aeroporto - e tutto il sussulto d'emozioni che si agitava dentro - sia (quasi) tutto quello che mi è capitato di vivere fino a questa notte. Ci sono poi sensazioni che sono ricorrenti: il cielo agitato di Amman, il profilo della città di Tiblisi quando si fa sera, intravisto dalla finestra della guest house dove alloggiavo, la sera in cui andammo al Nikala a bere vino, il rumore del fango sotto i miei scarponi, all'alba, nelle vigne del Saint Emilian, la gioia dei giorni di viaggio in autostop, il silenzio delle navi a notte alta. Aeroporti, alberghi, capitali, tutto questo è arrivato dopo. All'inizio c'era il vento, i pianti alla fine delle vacanze, il sudore delle corse nei prati, le ricreazioni ad arrampicarsi sugli alberi e camminare sul muro di cinta del convitto.
Se penso a chi c'era ed a chi c'è ora, mi vengono i brividi. Ma il discorso non vale, perchè sono io che sono sempre partito, da qualsiasi parte me ne sono andato. Sempre. E raramente sono tornato. Ed, in fondo, ho ancora voglia di ripartire e lasciar perdere tutto quel poco o nulla che ho sempre costruito e riportarmi a quota zero. Ancora una volta. O forse no.

lunedì 14 marzo 2011

Sgelo

Lentamente sulla terrazza la neve fonde e cede il posto ai detriti dell'autunno passato. La coltre morbida ed ondulata  degrada in forme arrotondate e giorno dopo giorno si riduce in blocchi di ghiaccio più ostinato, ma che nulla possono contro il progressivo aumento della temperatura. Per le strade, qua e là alla base degli alberi, brandelli di terra esausta dell'inverno e trasudante d'acqua sporca, intacca di pozze di colore smorto il bianchiccio dell'inverno, già contaminato dalle scorie della città. Ancora in attesa, gli umani si aggirano indaffarati per le vie, una nuova tensione nell'aria, un ultimo sforzo di resistenza.
Personalmente, ogni mattina, dopo il primo caffè, con la pala e l'energia rinnovata dal progressivo calore, intacco la coltre di ghiaccio per fare posto al colore, al calore, al rinnovamento che sento flebile vibrare nell'aria. Quasi sollevato, quasi riconfortato, che un altro inverno sembra essere alle spalle. Eppure, nel profondo delle fibre dell'essere, quel fondo di durezza che mi spingeva nel freddo siderale ad ammirare la crudezza del gelo, rimane inattaccabile, in attesa di tornare a danzare sulle lastre levigate delle prossime nevicate, di un futuro distante e ancora inaccessibile. Forse la crosta si fa più dura, forse la dimensione del freddo si fa più intima con il passare degli anni. E la stagione in mutamento, sembra che non sia che un colore nella tavolozza complessa e sfumata di un pianeta in rivoluzione costante, in una Natura ignota.
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