lunedì 16 gennaio 2012

My Favorite Things

Niente a che vedere con il pezzo del musical americano "The sound of music" di Rodgers e Hammerstein, un poco di più con le innumerevoli versioni vocali e strumentali prodotte (una lista non esaustiva potete trovarla qui), di cui una delle mie favorite è eseguita dall'inspirato pianista Brad Mehldau nel live a Vienne (Francia) del 28 giugno 2010 e dal modale e terribile Coltrane nel suo "Live in Japan" del 1966 (cose da fare almeno una volta nella vita: datevi malati, mandate figli, fidanzate, mariti, moglie, nonni, cani, piazzisti d'aspirapolveri e ogni tipo di scocciatura da qualche parte, ma lontano; chiudetevi in casa come se il fuori non esistesse, mettete il CD di Coltrane - CD, o vinile, o qualsiasi supporto analogico digitale, ma non MP3! - in un riproduttore d'ascolto, indossate una paio di cuffie ad alta definizione e chiudetevi in un armadio con una coperta in testa, meglio se in uno scantinato e... ascoltate! Dedicate un'ora del vostro fottuto tempo al delirio, all'irrequietezza, alla vaghezza, allo spasimo, all'ero(t)ico furore, al margine del suono, oltre il limite, scagliatevi oltre l'umano...).
Niente a che vedere con tutto questo, solo - quando non sono in un armadio di uno scantinato con una coperta in testa - a me, cosa piace davvero fare? Non è una domanda da poco, anzi assume contorni esistenziali, portate di confronto tragico tra quello che faccio tutti i giorni e quello che davvero mi piace fare, anche se l'interstizio tra le due cose non assume spesso la dimensione del baratro del Grand Canyon... La prima cosa che mi salta in zucca è che amo cucinare con dei grossi cucchiai di legno il sabato pomeriggio: pasta fresca, stufati, brasati, spezzatini in umido l'inverno; pizze, pesce in cartoccio, peperoni ripieni e polpettoni fantasia d'estate. Musica italiana o radio culturale come sottofondo, una bottiglia di vino bianco ("per i cuochi"), la convivialità di un paio d'amici, prima del ritrovo serale del banchetto. Il profumo delle spezie, dei sughi, il calore del forno e della cucina, quella sottile follia creativa dell'essere in azione, l'attesa del giusto punto di cottura. Per me è un vero piacere.
Un'altra cosa che mi piace fare è prendere delle stanze negli alberghi vicino alla stazione. Non nelle grandi città, chiaramente, ma nelle cittadine medie e piccole. Di solito sono abbastanza puliti, a buon mercato e hanno il portiere notturno che apre e chiude fino alle ore piccole. C'è una sorta di attesa in questi alberghi, nessuna tracotanza di turisti grassi e noiosi, ma piuttosto la stanchezza del viaggio, un caffè, un letto rifatto, il primo scorcio di un paesaggio sempre simile, ma mai uguale come sono le stazioni. La versione americana di questo ambiente è il motel: arrivi, parcheggi, passi in reception a prendere la chiave, paghi,  posi nella stanza quelle quattro cose inutili che ci si porta dietro, esci, torni, dormi, prendi una doccia, guardi nei cassetti per vedere se qualche fantasma ha lasciato qualche traccia dietro di sè e, fantasma tu stesso, te ne vai su quelle strade dritte e strane, perchè straniere, che attraversano il continente. Anche qui, tutte le volte che posso, assaporo goliardo questa strana sensazione di lenzuola lise da lavaggi ad alte temperature, questo anonimato di esseri in movimento, le saponette tutte uguali e gli specchi a grandezza parete nel bagno...
Poi c'è la notte: la notte gelida e stellata dell'inverno canadese, calda e profumata nelle isole dei Caraibi, affollata e stordente nella metropoli, nuda e misteriosa nel fresco delle colline. La notte, amo viverla nella mezza luce, tutto un po' attutito, sbirciando nelle mie passeggiate silenziose nelle occhiaie delle finestre delle case, fumando il mio tabacco preferito, lasciando i pensieri vagare e danzare, mille strofe di vento, un piacere che diventa calore...
My favorite things...
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