domenica 25 settembre 2011

Passeggiata nel quartiere

Fermata della metropolitana Joliette. Linea verde. Già nell'atrio della scala mobile un suono di chitarra arpeggia delle melodie folk ed una voce accompagna lievemente lamentosa, lievemente timida tra il ronzio dei meccanismi che mi portano in alto, verso l'uscita. La stanchezza del primo autunno, nell'apice dello splendore della natura si avverte già, come un'intuizione, il primo sibilo del riposo invernale e una nota di freddo nell'aria presagisce il rigore del gelo. Ma non è ancora freddo, non è ancora buio presto la sera e si avverte ancora l'allegria estiva. Prendo per una ruelle, ancora lluminata dal sole. Alcuni gatti sonnecchiano pigramente e dalla finestra occhieggio un pittore all'opera nel ritratto di una modella dagli occhi spenti "ritratto di donna con vaso di fiori", non penso che lo vedrei nel corridoio del mio appartamento...
Un uomo seminudo corre verso un depanneur, sul patio di una casa che si affaccia sulla strada due uomini obesi escono lentamente con una sigaretta in mano, uno inciampa nel gradino, impreca e scaracchia nel giardino. Mi viene quasi da ridere.
Davanti alla casa di riposo, tre vecchie avvolte in una coperta sorseggiano una tazza di the, camminando in ciabatte e calze di lana, mentre nel parco di fronte l'equipe di ultimate fresbee suda, correndo qua e là dietro il disco di plastica che saetta nell'aria. In piazza, c'è un violinista di mille anni che stride le sue corde; è il mio preferito, il suo suono disarmonico, il suo viso antico e la disperazione lacerante del suo violino entrano nei miei pensieri e si mescolano alle immagini del mio lento ritorno a casa. Ci sono delle donne che parlano tra i balconi, i bambini scendono dalla discesa della pista ciclabile seduti su degli skateboard, mentre un gruppo di ragazzi compie degli esercizi ginnici nel parchetto attrezzato dall'altra parte della strada. Qualche commerciante inizia a chiudere i negozi, il traffico è sempre abbastanza sostenuto a quest'ora.
Arrivo a casa, incrocio lo sguardo con la vicina bionda: io la guardo e lei mi guarda. L'altra mattina è uscita in mutande a gettare la spazzatura, mentre passavo per andare a prendere n caffè: lei sa che ho visto le sue natiche tonde e floride, io so che lei sa che l'ho vista, è troppo poco per niente e salgo le scale verso il primo piano. Il cane della vicina ha ancora pisciato sulla mia porta, più tardi passerò un colpo di disinfettante, quando porterò fuori il pattume, che domani passa la nettezza urbana.
Una vocina di bimba dalla finestra mi saluta allegra: "Bonne soir, monsieur", "Bonne soir madmoiselle".
Gli ubriachi al bar all'angolo hanno già cominciato ad urlare e, in silenzio, i globi gialli delle luminarie della sera si accendono tra le foglie dei grandi alberi dell'avenue Valois.

2 commenti:

  1. il titolo del tuo post mi ha fatto tenere il fiato e mi ha sommerso di ricordi
    ma poi, leggendo il resto, mi sono resa conto di essere caduta nell'illusione dei miei propri souvenirs, del mistral fresco che mi impedisce di avanzare nella discesa in bicicletta, l'enorme palazzaccio di vetro e cemento irrita quel paesaggio di angoli sporchi che sanno di alghe e luce di un sole terso, i dock a metà rimbellettati per diventare un teatro e per la metà lasciati a guardare il mare solcato dalle petroliere sotto la sopraelevata. Grigio e azzurro come le onde cangianti che si rispecchiano sulle nuvole, come i muri taggati e l'architettura che tutto lascia presagire la belle époque. E scheletri di palazzi che echeggiano le onde di un mare spumoso, il thé e le olive nelle strade, la puzza di piscio e gli aromi...
    Questo è per me la Joliette...à Marseille
    la toponomica lascia spesso cadere in trappole immaginarie
    bello il tuo blog

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    1. ...e lasciamoci andare, allora, in queste trappole d'amaro miele di una toponomica immaginaria! Rivivere posti "nostri", attraverso parole altrui, cosa altro chiedere ai pensieri stranieri che avvicinano?
      Grazie del tuo commento e della tua visita.

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