sabato 24 marzo 2012

Aneddoto arabo

Beiruth. Una calda giornata di qualche anno fa. Esco dalla mia stanza per uscire e farmi una passeggiata lungo il  limite del campo profughi palestinese. Chiamo l'ascensore sul pianerottolo dell'hotel al quindicesimo piano. Dall'altro lato del corridoio una figura in abiti tradizionali arabi attende anche lei l'arrivo della cabina. Da qualche giorno, l'albergo ospitava non so quale congresso della lega araba ed era popolato da sceicchi in tunica bianca e numerose altre persone, tra acompagnatori e personale di servizio; dei militari in assetto di guardia presidiavano le entrate dell'albergo, ma noi occidentali non eravamo infastiditi dalle formalità e circolavamo senza problemi, incuriositi dal cerimoniale deferente con cui il personale trattava i diplomatici.
"Sir..."
L'ascensore che la persona attendeva dall'altro lato del corridoio è arrivato prima del mio. Sorpreso, mi sento chiamare da una voce femminile cristallina e pacata e la seguo nell'ascensore. Alla luce delle alogene nella spaziosa cabina, mi trovo davanti una ragazza, minuta e dall'aspetto regale: il volto incorniciato dal velo finemente ricamato, ha una carnagione leggermente olivastra che incornicia due occhi vivi e scuri, contornati dal trucco impeccabile con cui le donne del Medio Oriente intensificano il loro sguardo; il naso, finemente cesellato, sormonta le labbra fini, che abbozzano un sorriso, che sento privo d'imbarazzo o timidezza e mi appare di benvenuto, misto ad una sorta di divertita curiosità. Nell'aria climatizzata, si spande un leggero profumo di gelsomino.
"Enter hall floor, please. Do you?"
Ancora più sorpreso, schiaccio il pulsante per scendere all'ingresso. Lei mi ringrazia con un cenno e restiamo lì, ad un passo l'uno dall'altro, vicini eppure lontani, ciascuno nella propria vita, fatta di credenze, pregiudizi, storie, influenze... Cercando di non dare troppo a vedere, la scruto nei riflessi degli specchi che ci circondano: è bella e altera, il vestito lungo lascia intuire una silhouette snella ed è riccamente decorato d'arabeschi multicolori, eppur sobri; dall'orlo della veste spuntano du piccole babbucce azzurre e l'intera figura emana dalla postura ritta una dignità ed una fierezza palpabile e senza ostentazione, naturale, come il calore del sole.
La ringrazio brevemente per la gentilezza riservatami nell'invito a condividere il suo ascensore, io non so se in quel fangente avrei osato proporlo e faccio un commento sulla bella giornata che ci attende, fuori da quel piccolo ascensore. Lei mi guarda, dritto negli occhi, con quello suo sguardo aperto e diretto e, con una pronuncia certo migliore della mia, mi dice che parla un inglese di base e se ne scusa.
Qualche istante e siamo arrivati. Le porte automatiche si aprono e lei esce con dei passettini agili e leggeri, senza rumore nè fretta. Qualcuno l'attende e viene accompagnata ad un auto con autista in livrea, appena al di là della porta principale.
La seguo con gli occhi, stupefatto di questo piccolo incontro ed ho l'impressione di aver sbirciato per un attimo oltre un velo, di aver colto un istante ineffabile, l'intuizione di una realtà totalmente altra, di una vita differente, una ricchezza profonda.
Non ho mai saputo chi fosse, ma non ho dimenticato quel viaggio in ascensore e la nostalgia di trovare persone e vite che fanno scoprire, emozionare non mi ha più lasciato. Fascino puro.
Poi, misi i miei occhiali scuri ed uscii nel sole.

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