sabato 11 giugno 2011

Migranti

Ieri sera, una serata come tante. Mi ritrovo seduto in un piccolo giardinetto, a sforchettare insalata su un piattino, a mangiare hamburger cotti a puntino dal cuoco di turno. Intorno a me sento parlare spagnolo, inglese, francese.
L'occasione dell'evento è il compleanno di C. conosciuto al corso di lingua, patrocinato dall'ufficio immigrazione. Tra i presenti, a parte due o tre autoctoni, tutti gli altri vengono da qualche altra parte del mondo per le più diverse ragioni, non sempre le più ovvie.
Un tizio dai tratti marcati delle Ande attira la mia curiosità. Mi racconta di essere cileno, parla senza pregiudizi del nord America, ne confronta i limiti con la tua terra, mi chiede notizie dell'Europa. Gli chiedo perchè sia venuto da queste parti, cosa l'abbia spinto a cambiare emisfero per aprirsi al mondo, tenuto conto che mi raccontava di essere partito per cercare di avere un punto di comparazione con la sua terra. Il dialogo coinvolge anche altri, messicani, canadesi e spagnoli. Iniziano a punteggiare i vari interventi parole come "paesi sottosviluppati", "civiltà", "diritti civili", "strati sociali". La conversazione si scalda. 
Vedendo il clima appassionato, chiedo perchè si abbia la percezione che il nord America sia un paese del primo mondo, in fondo tutti noi, anche se sono passati qualche anno dal nostro arrivo, viviamo tutti una situazione precaria, già il momento stesso che stiamo vivendo attorno ad un tavolo disseminato di birre e bicchieri vuoti ne è una testimonianza. Parole come "integrazione", "futuro", "partecipazione" - sempre che queste parole possano essere considerate come indicatori di una vera presa di posizione all'interno della società e quindi un simbolo di una presa di coscienza d'appartenenza "politica" - non sono ancora ben assestate nel nostro presente e mi chiedo se lo saranno mai. Se cercavamo qualche cosa, non ho l'impressione che l'abbiamo veramente trovata, o almeno, a me personalmente sembra di no. Non che ci siano voglie latenti di tornare indietro, ma la partita resta aperta. Accenno anche un'ipotesi di analisi del perchè il cosiddetto primo mondo ora possa permettersi di tenere le frontiere aperte ed essere considerato mondialmente un "paese d'accoglienza": l'immigrazione può essere un grande business, che si nutre di speranze e dell'energia vitale di tanti che legittimamente sperano una condizione migliore.
Alla fine, i toni si accendono ancora di più, i malintesi dei pensieri travasati in diverse lingue si accavallano, c'è qualcuno che si offusca, un poco ebbro qualcun altro sbatte contro la zanzariera tirata sul varco della cucina, si ride, si fuma e si rompe qualche bicchiere.
Ci sono molte parole e molte vite, ma abbiamo solo i nostri giorni per cercarle o trovarle. Non è male sapere che non siamo soli.

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